SISMA DELL'AQUILA 2009 : CARTOLINA DALL'INFERNO
Sono trascorsi 10 anni da quella terribile notte del 6 aprile 2009. E da 10 anni le ferite continuano ad aprirsi al ricordo della distruzione e della tragedia che in una notte ha cancellato migliaia di case e centinaia di vite umane.
A dieci anni dal sisma ripropongo un mio articolo, uscito sul quotidiano AMERICA OGGI di New York per permettere al ricordo di non sbiadire nelle nebbie del tempo. E per rendere omaggio a una città che mi ha accolto e ospitato per sette anni. Una città che porterò sempre nel mio cuore.
CARTOLINA DALL'INFERNO
di Generoso D’Agnese
“15 anni di esperienza nella
protezione civile e tanti soccorsi ai bisognosi. Ma mai e poi mai avremmo
immaginato di dover allestire un campo per ospitare i nostri volontari che
hanno perso tutto.”
Sono parole intrise di tristezza
quelle che escono dalla bocca di Sante Di Santo, ingegnere e presidente
pescarese dell’Associazione Nuova Acropoli, sodalizio che da anni opera nelle
emergenze civili.
“Abbiamo allestito il campo nel
parcheggio dell’Alenia Spazio, tra l’uscita autostradale Aquila Ovest e
Coppito. Questa volta non abbiamo potuto portare soccorso ad altri ma abbiamo
dovuto provvedere ai nostri volontari aquilani che hanno perso tutto, e 15 di
loro hanno perso la vita. Tra loro anche il nostro presidente nazionale Sandro
Spagnoli morto insieme a sua figlia Flavia.”
Ha il volto sconsolato di chi da
ore assiste al dipanarsi delle tragedie, Di Santo. Tra le “sue” vittime anche
Domenico, il figlio del collega giornalista Giustino Parisse, che proprio
nell’ultima esercitazione estiva aveva compiuto i suoi 18 anni tra gli amici
impegnati nella Protezione Civile.
Difficile scrivere di questa
immane tragedia. Non si sono scale assolute di valore nei disastri ma
difficilmente si potrà dimenticare quel che è successo in questo angolo
d’Italia, incastonato tra le più alte vette degli Appennini. Ogni frase che
viene scritta equivale ai passi mossi per le vie svuotate del centro storico,
ogni pensiero equivale al calpestio di un cumulo di macerie. E anche il cuore
di chi ha scelto di accompagnarmi è pieno di macerie.
Lunedì ore 3.32. Un boato sordo e
prolungato ci strappa dal sonno...pochi attimi per passare dai sogni alla
razionalità, per passare dal tepore alla paura. Alzarsi e correre verso
l’angolo considerato sicuro della casa, trascinando con sè la giacca e la
figlia ancora immersa nel sonno: questo è stato il risveglio delle famiglie
abruzzesi nella notte che ha cancellato L’Aquila. Noi italiani siamo diventati
nostro malgrado esperti di terremoto ma nessuna scossa vissuta in prima persona
– dal Belice al Friuli, dall’Irpinia all’Umbria e al Molise – ha avuto lo
stesso effetto agghiacciante. Un rollio lungo e profondo, preceduto da una
sorta di muggito cupo, che in molti ha provocato
vomito e che è continuato per quasi un minuto. Questo il biglietto da visita di
un sisma che da subito si è immagino disastroso. E a nulla servono i primi dati
rassicuranti provenienti dalla televisione e dalla Protezione civile. Se i
danni saranno limitati sarà solo per un miracolo e il passaparola tra i vicini di casa, tutti
riuniti davanti al primo spiazzo utile e sicuro, conferma minuto dopo minuto le
previsioni più orribili.
Non è un sisma “logico” quello
che il 6 aprile ha colpito il capoluogo abruzzese. Tra corregionali si discute
da sempre degli eventi tellurici e già nel 1984 la terra tremò nel sottosuolo
dell’Aquila causando importanti danni. Per chi allora viveva nella città
fondata da Federico II e ricordata per la sua fontana delle 99 cannelle il
terremoto ha sempre rappresentato un tema centrale di analisi, quella stessa
analisi che ti porta quasi a rallegrarti quando arriva lo sciame sismico.
“Perchè sei contento che la
terribile energia venga dissipata un po’ per volta senza arrivare alla grande
botta”. Nello Scassa, ex rugbista e compagno di squadra ai tempi
dell’Università l’ho ritrovato tra gli sfollati nella tendopoli di Piazza
d’Armi. Ha vissuto in prima persona il lungo calvario che da dicembre
accompagna le giornate aquilane.
“Dopo tre mesi di continue
piccole scosse, c’eravamo rassegnati allo stress e a varie notti insonni, ma
nessuno pensava che arrivasse questo cataclisma. Lo sciame ha sempre seguito il
primo tremendo colpo, questa volta invece lo ha anticipato.”
Camminiamo tra le macerie. Grazie
agli amici dell’Associazione Nuova Acropoli, volontari eccezionali in questo
mondo finito a rotoli, ho potuto raggiungere la città che ospitava una tre le
migliori facoltà di ingegneria d’Italia e ho potuto percorrere le strade che
conosco perfettamente per averne fatto parte per sette anni. Con Nello e Sante ci
addentriamo tra strade deserte presidiate solo da forze dell’ordine e vigili,
spesso distratti essi stessi dalla paura di nuovi crolli.
E parliamo del futuro prossimo.
“Nessuno vuole avere una New Town
aquilana” spiega il cronista del quotidiano locale che incrociamo nella città sventrata e c’è da
credergli. Nel vessillo della città accanto all’aquila sveva campeggia il motto
“Immota manet” a testimoniare il fortissimo attaccamento alle radici e alla
propria storia. Eppure è difficile immaginare un futuro prossimo tra il
silenzio agghiacciante del centro storico, dove neanche i cani hanno voglia di
abbaiare alla paura. Difficile immaginare un futuro per una città che ha visto
sgretolarsi il Palazzo della Prefettura, per una città si specchia nella
Basilica di Collemaggio, capolavoro di arte romanica, che rimane in piedi solo
con la stupenda facciata, sequestrando tra le macerie le spoglie di papa
Celestino V, nello scheletro del Duomo o nella fortezza spagnola gravemente
ferita nelle sue mura e nei suoi tesori archeologici e naturalistici (qui è
custodito lo scheletro intatto di un Mammuth, simbolo preistorico del
territorio aquilano).
In via S.Agostino arriviamo
davanti a quella che fu il nostro appartamento. Non è possibile arrivarci
perchè una voragine ha squarciato la strada inghiottendo tutta intera
un’automobile. C’è poco da sperare del resto. Della casa si intravvede la
struttura accartocciata su se stessa. Come tutti i palazzi presenti in questa
area dell’Aquila, è venuta giù.
“La faglia del terremoto corre
proprio nella vallata sottostante – mi spiega un tecnico dei Vigili del Fuoco-
lungo il fiume Aterno. Larga 30 centimetri e lunga 50 metri. Questa è la bocca
dell’inferno, l’effetto superficiale della rottura avvenuta in profondità.” E
paradosso della Natura, passa sotto una casa rimasta praticamente intatta!
Nulla si è quasi salvato a lato
monte di questa faglia, posta sul versante sud-est della città. E proprio verso
sud-est si sgranano decine di paesini che rappresentano il rosario di comuni
che nel Medioevo contribuirono a fondare la città voluta dall’imperatore
Federico II.
Onna, Fossa, Roio, Bazzano, San
Demetrio, Castelnuovo, Poggio Picenze hanno pagato più di tutti, in proporzione
alla loro densità abitativa. E il vero simbolo di questa tragedia potrebbe
essere trovato proprio in Onna, dove si è gioito per una bara rimasta vuota.
“Abbiamo fatto arrivare 40 bare
per deporvi chi non ce l’ha fatta – spiega un ragazzo della Protezione civile –
ma una donna trovata sotto le macerie è stata registrata due volte. I morti di
Onna si fermano a 39 e la bara è rimasta vuota e aperta in mezzo al prato.”
Diventando il simbolo di un
riscatto che pian piano si fa largo tra i sopravvissuti. Anche tra chi ha perso
appena il proprio figlio.
“Fabio aveva 21 anni, era
ragioniere e uno dei membri della festa della Madonna delle Grazie. L’ho
trovato abbracciato alla nonna. Ora faremo di tutto perchè nessuno si
dimentichi di loro. Onna deve rinascere.” Antonio De Felice piange
silenziosamente dando corpo al carattere forte della gente montanara d’Abruzzo.
Gente abituata a combattere le forze della Natura e i drammi della storia. Non
è solo per solidarietà infatti che il governo tedesco ha offerto il suo
completo sostegno alla ricostruzione di Onna. Qui nel 1944 le truppe naziste in
ritirata commisero uno degli atti più infami della guerra e dopo aver fucilato
i partigiani a Filetto, rastrellarono 16 civili inermi, li rinchiusero in una
casa e la fecero saltare in aria. A distanza di 65 anni Michael Steiner,
ambasciatore tedesco in Italia ha fatto visita all’accampamento degli sfollati
e ha rinnovato quel legame di solidarietà che vuole rendere omaggio alle lontane
vittime inermi della barbarie umana.
Nelle foto di Luciano Borsari e scattate alcuni giorni dopo il sisma, alcuni luoghi dell'Aquila colpiti nel 2009
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