Arianna Minoretti: L’INGEGNERE ITALIANA CHE UNISCE LE ISOLE NORVEGESI NEL NOME DI ARCHIMEDE
L’INGEGNERE ITALIANA
CHE UNISCE LE ISOLE NORVEGESI NEL NOME DI ARCHIMEDE
di Generoso D’Agnese
“Molte persone pensano che andando all’estero sia più semplice trovare lavoro ma non si rendono conto che si ha a che fare con una concorrenza internazionale e che non è semplice concretizzare le proprie opportunità. Il mio consiglio è di non scoraggiarsi, di continuare a provare a mettersi in gioco. Non è semplice ma i risultati possono essere davvero appaganti»
Arianna Minoretti ingegnere capo della Norwegian Public Roads Administration, i suoi consigli li ha messi in pratica da alcuni anni e con la sua tenacia è arrivata alla responsabilità degli studi sul “ponte di Archimede”, una struttura avveniristica di ponte tubolare sommerso e galleggiante proposto per l’autostrada E39 che si distende sulla costa occidentale del paese. «Si tratta di un’idea – spiega l’ingegnere - brevettata per la prima volta a fine ottocento, ma che non è mai stata realizzata per via della mancanza di un adeguato sviluppo tecnologico, soprattutto per quanto riguarda le operazioni marine e i collegamenti con il fondale. Negli ultimi anni sono state realizzate strutture ibride e gli studi hanno permesso di fare un passo in avanti nella conoscenza di questa struttura, permettendo a molti paesi di iniziare (o ricominciare) a pensare al Ponte di Archimede per alcuni attraversamenti specifici. L’Amministrazione norvegese viene invitata a presenziare a presentazioni su progetti per il ponte di Archimede in tutto il mondo, essendo riconosciuto il livello di esperienza con questa struttura che ormai la Norvegia ha dimostrato in tutti questi anni. La Norvegian Pubblic Roads Administration conta circa settemila dipendenti, e solo pochi si occupano dei progetti che riguardano le problematiche della E39, formando con i consulenti esterni e i ricercatori un gruppo di lavoro». Arianna ha scelto ingegnere civile con indirizzo strutture affascinata dall’idea di progettare edifici e strutture aventi la massima sicurezza per le persone e nel 2013 decise di accettare il lavoro di ricercatore nell'università di Trondheim, dopo aver deciso di seguire la scelta di trasferimento in Norvegia del l’attuale marito, anche lui ingegnere e architetto.
«Dopo pochi mesi di orientamento lavorativo i ho trovato un impiego nell'Amministrazione Pubblica dei Trasporti. Il tutto è avvenuto nell’arco di un mese e credo che i dieci anni di esperienza lavorativa abbiano inciso positivamente, nonostante non parlassi una parola di norvegese. Trasferirsi in un altro paese è uno stravolgimento totale. Credo che, quando si sceglie di trasferirsi, non ce ne rendiamo veramente conto, altrimenti probabilmente desisteremmo. Nuovo lavoro, nuovi strumenti di lavoro da imparare ad utilizzare, nuovi colleghi, una professionalità da dimostrare da zero, il tutto in una lingua che non e' la tua lingua madre. Nel mio caso, oltretutto, dopo un mese si dava già' per scontato che capissi il norvegese. Per quanto riguarda la vita privata, e' anche più difficile. Arrivi in una città sconosciuta, in una cultura sconosciuta, senza amici, senza la famiglia vicina. La lingua parlata nella vita sociale non è neppure l'inglese, ma ovviamente il norvegese. Si può solo immaginare lo sconforto nel quale si viene proiettati da un giorno all'altro». Sul lato opposto della bilancia Arianna ha però messo il suo entusiasmo per la nuova sfida, professionale e personale, e la scoperta di una società basata sulle regole e sul rispetto del sistema, che si comporta da 'padre di famiglia' responsabile.
L’ingegnere italiano ha iniziato il suo lavoro come progettista del ponte “Tana bru” costruito a nord della Norvegia, passando a vari progetti di ricerca con le università e i centri di ricerca, per poi gettarsi a capofitto nello studio del ponte di Archimede. «Il primo impatto con la Norvegia e' stato positivo, specialmente per il rispetto generale della 'cosa pubblica', del rispetto delle regole, della cultura del tempo per la famiglia, del rispetto per i bambini, della apertura verso stranieri e, in genere, verso tutto quello che e' diversità. Vivendoci per anni, ci si rende conto anche dei limiti e dei difetti, ma devo dire che, ancora a distanza di anni, i lati positivi restano preponderanti. Io e mio marito viviamo a Trondheim, una città internazionale, nella quale è presente una comunità italiana che si ritrova anche attraverso diverse associazioni culturali. Sono sempre italiana e le mie origini sono parte della persona che sono. Avere radici forti è probabilmente uno degli elementi che mi ha permesso di andare lontano. I contatti con l'Italia sono tantissimi, non solo con i famigliari, ma anche con associazioni italiane per l'organizzazione di eventi, con colleghi e con società». Pur avendo una sorella che vive a Londra, una a Parigi e i genitori in Italia, Arianna si sente parte di una famiglia molto unita, quindi appena possibile cerca di passare del tempo insieme a loro e non disdegna di permeare di italianità la vita quotidiana. «Le mie bimbe hanno 2 e 5 anni. Nella nostra giornata c’è “Italia” nella cucina, nelle telefonate ai nonni, nei libri, nei racconti, nella lingua.. ma so che loro si sentiranno anche norvegesi. Spero possano prendere il meglio da entrambe queste realtà. Inoltre conservo per me un mio spazio personale, un piccolo sito dove pubblico le mie 'lettere dal nord' (su wordpress). Si tratta di un piccolo progetto editoriale che aspetta sempre il momento giusto.
La lettura per me è una attività che posso fare solo in italiano. La lingua italiana è uno strumento meraviglioso e lavoro ogni giorno per non perderlo. Essere italiani vuol dire molte cose, e spesso e' associato a comportamenti non sempre virtuosi per i quali spesso siamo anche presi in giro o guardati con sospetto all'estero. Quale tipo di italiani siamo, dipende da noi. Dipende da noi se non rispettiamo le regole, se cerchiamo sempre la strada furba che nuoce alla società nella quale viviamo, se ci approfittiamo del sistema, se lavoriamo in un ambiente di clientelismi e amicizie interessate. Questo essere italiani c'è in Italia e c'è anche in alcuni italiani all'estero. Dipende da noi. La scelta si fa ogni giorno, in Italia e in qualsiasi altro paese del mondo. E la scelta non è quasi mai la strada comoda, o facile. Ma è quella etica. Ed è quella da insegnare ai nostri figli perché possano vivere in un domani migliore. In Italia e all'estero».
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