DOLCE NATALE


DOLCE NATALE 

di Generoso D’Agnese


In molte case già si sente il profumo della cannella e dello zenzero e in tante famiglie i forni iniziano a cuocere a ritmo sostenuto. Perché Natale è l’apoteosi del pranzo in famiglia, ma soprattutto l’esaltazione della dolcezza. E se impastata con le mani sapienti di nonne e mamme, lo è ancora di più. I dolci di Natale rappresentano infatti una pietra miliare delle tradizioni italiane e come spesso capita, assumono forme, colori e sapori diversi attraversando lo Stivale da un capo all’altro. E allora capita di imbattersi nella “Bisciola” diffusa in Valtellina (una pagnottella arricchita di frutta secca, burro uova e alcune volte anche miele) al Buchteln dell’Alto Adige (pane dolce cotto al forno, ripieno di marmellata e cosparso di zucchero e salsa alla vaniglia), dal Certosino di Bologna (detto anche panspeziale) alle Ferratelle abruzzesi.
Su tutti però domina il panettone, vera e propria icona italiana delle prelibetazze natalizie, le cui origini sfumano nella leggenda. Quella più diffusa narra di uno sguattero dal nome Toni che preparò un dolce con gli avanzi della dispensa salvando il cuoco del nobile Ludovico il Moro da punizione certa per aver carbonizzato il proprio dolce. Il “pan del Toni” in poco tempo si diffuse sulle tavole milanesi diventando panettone. La più antica e certa attestazione di un “pane di Natale” prodotto con burro, uvetta e spezie si trova nel registro spese del collegio Borromeo di Pavia del 1599, quanto tali pani furono servii durante il pranzo natalizio agli studenti.
 Da anni l’Italia si divide però tra appassionati del panettone e pandoro, in un campanilismo all’insegna della prelibatezza. Il pandoro è un tipico dolce veronese, le cui origini però sono da ricercare ai tempi dell’antica Roma. Plinio il Vecchio (I secolo) cita il cuoco Vergilius Stephanus Senex che preparò un “panis” con fiori di farinam burro e olio. La ricetta moderna risale però all’Ottocento, come evoluzione del Nadalin. Il 14 ottobre 1894 Domenico Melegatti depositò all’ufficio brevetti un dolce morbido e dal caratteristico corpo a forma di stella a otto punte, opera dell’artista Angelo dell’Oca Bianca, pittore impressionista.
Se Panettone e Pandoro non possono mancare sui tavoli di tutta Italia, molti altri dolci rappresentano invece le peculiarità tradizionali di un territorio specifico della Penisola. A Torino non può mancare ad esempio il Tronchetto di Natale, nato da una leggenda legata ad un’antica tradizione contadina piemontese secondo cui il ceppo, posto nel camino la notte di Natale doveva bruciare lentamente in segno di buon auspicio per le 12 notti fino all’Epifania. A Siena invece tocca al Panforte mantenere viva la tradizione natalizia territoriale. Il nome deriva da un dolce che veniva preparato fino al X secolo, il “panmelato”. Panspeziale o certosino non può mancare sul tavolo dei bolognesi mentre  a Roma resiste la tradizione del Pangiallo romano, il cui nome deriva dalla glassa tipicamente di colore giallo. Il Natale napoletano non è tale se non si chiude il pranzo con gli struffoli e i Roccocò mentre in Puglia si gustano le “cartellate” che a Bari prendono il nome di “sfringioli”. A Palermo tocca al “cubbaita” o cubarda chiudere i pranzi di Natale. La Cubarda è una sorta di torrone che a parte dell’antica tradizione dolciaria siciliana, di origine saracena (qubbiat in arabo vuol dire mandorlato). In Sardegna invece si mantiene viva la tradizione di cucinara la “sebada” costituito da due dischi di pasta di semola con un ripieno di formaggio tenero, leggermente acidulo e scorza di limone, il tutto fritto in abbondante olio caldo e servito con miele fuso e zucchero a velo.
In Abruzzo non possono mancare i “cagionetti” e il Parrozzo, , inventato nel 1920 dal pasticcere Luigi D’Amico di Pescara. Il primo ad assaggiare questo dolce fu Gabriele D’Annunzio il quale, in segno di entusiasmo, gli dedico il sonetto “La Canzone del Parrozzo”.
Sui tavoli di tutta Italia infine non può mancare il torrone, la cui origine è avvolta nel mistero. Alcuni studiosi fanno risalire questo dolce fino alla Cina, luogo in cui veniva coltivata la mandorla. A portarlo nel Mediterraneo furono gli arabi. Prima in Sicilia, poi in Spagna fino ad arrivare a Cremona. Il torrone pertanto dovrebbe essere una variazione della cubbaita" o "giuggiolena", mediando il termine dallo spagnolo "Turròn". L'inizio della produzione di torroni tradizionali in Spagna si fa risalire al XVI secolo. A Cremona, i rivenditori sostengono comunque che il torrone nacque lì, nel 1441, durante il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, quando venne confezionato in forma di Torrazzo (l'alta torre campanaria del duomo della città), da cui avrebbe preso il nome. Secondo un'altra tradizione infine, nl 116 circa a.C., Marco Terenzio Marrone il Reatino citava il gustoso "Cuppedo": "Cupeto" è ancora oggi il nome del torrone in molte zone dell'Italia Meridionale.
Ma qualunque sia l’origine, il torrone rappresenta al meglio le tradizioni dolciarie delle tavole natalizi imbandite in Italia. Buon dolce a tutti.

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