Il vestito della domenica nell'era della pandemia; quando i vestiti erano un'arte
Il vestito della domenica nell'era della pandemia
"Ricordate
quando ci si vestiva eleganti?" si chiede il "Wall Street Journal" in
un articolo in prima pagina dello scorso 12 giugno 2021 ("Remember
Dressing Up" é il titolo originale), ricordando il periodo del lockdown
per far fronte alla pandemia.
Il
sottotitolo é piú descrittivo: "Cene d'affari, matrimoni e compleanni
sono tornati, ma dopo mesi vestiti in tuta da ginnastica, scegliere i
vestiti potrebbe rivelarsi difficile".
Per
oltre 15 mesi ci siamo presi in giro facendoci vedere con Zoom o Skype
sugli schermi dei computer con giacca e cravatta e/o giacca di tailleur,
mentre fuori campo eravamo seduti in mutande e pantofole.
Questo
perché lavorando da "remoto" (telelavoro con gli orari d'ufficio) o
"smart working" (lavoro agile senza vincoli), che in pratica vuol dire
non andare in ufficio e lavorare da casa, il bisogno di vestirsi
eleganti era sparito dalle nostre abitudini.
La
scelta di vestirsi eleganti o casual esisteva anche tempo fa, ma
rispecchiava livello ed occasioni sociali e non lo stato di pandemia. La
scelta marcava la differenza tra i ricchi e la classe media. Ad
esempio, ricordo che per noi plebei vestirsi eleganti alla domenica era
imperativo. Se guardiamo le foto di gente comune scattate in questo
periodo non manca mai la cravatta o, per le signore, collane al collo e
foulard di seta. Per i ricchi, la tradizione era diversa: impegnati in
attivitá di "alto livello" professionale durante i giorni feriali (che
richiedevano adeguate misure sartoriali), nei fine settimana questi si
vestivano in modo "casual". Nei fine settimana (il termine inglese
"week-end" é arrivato con il benessere) loro emulavano noi nei giorni
feriali, e noi emulavamo loro nei giorni festivi. La differenza era
chiara e netta. Poi con il benessere sono arrivati tatuaggi e tute da
ginnastica per tutti. Ma questo é un altro argomento che affronteremo in
seguito.
Per
noi a quei tempi acquistare l'abito della domenica non era una cosa
semplice e richiedeva un processo complesso: per prima cosa bisognava
parlare con il sarto e negoziare il costo per il lavoro (sui 7.000 lire o
75 euro di oggi), la stoffa e la fodera (del costo totale di 4.000
lire). Se il prezzo non includeva il materiale, bisognava aspettare il
mercatino del giovedí per acquistarlo. Le scelte per un ragazzo cadevano
sempre su due elementi standard: stoffa in lana di "mezza stagione"
(per far fronte a tutti i mesi dell'anno, cioé non troppo pesante o
troppo leggera) e stampa "principe di Galles" (che dava sul grigio).
Involontariamente si faceva anche distinzione tra "stoffa" e "tessuto",
dove il primo indicava il materiale finito ed il secondo il metodo di
lavorazione della stoffa, cioé l'intrecciamento dei fili.
Un'altra
caratteristica importante era la taglia, che veniva discussa con il
sarto per determinare la sopra-misura, perché i giovani, come si sa,
crescono velocemente e l'abito doveva essere indossato per almeno due
anni, prima che diventasse stretto e quindi passare (nel mio caso) al
fratello piú giovane. In pratica l'abito era su misura per sole 26
domeniche su un totale di 130.
Il vestito richiedeva almeno tre prove: la presa delle
misure, quella generale dopo una settimana, e quella finale dopo
un'altra settimana. Questo perché il sarto lavorava su capi di diversi
clienti allo stesso tempo, altrimenti il tempo richiesto per fare un
abito sarebbe stato di circa 40 ore lavorative o quattro giorni di
seguito.
Oggi
l'abito su misura é un lusso che pochi si possono permettere e chi lo
puó fare, spesso si fa persino vedere con i bottoni delle maniche
sbottonati per dimostrare che le asole sono vere, e che quindi l'abito é
realizzato da un sarto (oggi la maggior parte dei vestiti, anche di
buona marca, acquistati nei negozi ha asole finte). Questa "stravaganza"
della manica aperta é stata temporaneamente sospesa dalla pandemia, ma é
ora pronta a tornare in voga!
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