Da Sunnyside a Tontitown: Le colonie agricole italiane nel profondo Sud



Da Sunnyside a Tontitown

Le colonie agricole italiane nel profondo Sud


 
 

 

 
Arrivarono da Roma e sbarcarono a New Orleans. Da lì risalirono il grande Mississippi 
con i battelli della Anchor Line di Austin Corbin, e arrivarono a Sunnyside. Nell'Arkansas.

Non tutti gli italiani che scelsero l'America alla fine dell'Ottocento, arrivarono sulle

banchine di Ellis Island. Qualcuno vi arrivò dalla porta di servizio, negli Stati Uniti, per

dare poi vita ad un progetto destinato a fare epoca nelle terre malmesse del

profondo Sud.

Era il caso degli italiani di Sunnyside, ma non furono i primi. Il battesimo, per le

colonie agricole italiane degli stati del Sud, spetta all'anonimo Friar's Point, nel delta

dello Yazoo. Salito agli onori della cronaca nella guerra civile americana, questo

fiume continuava ad attirare su di sé progetti di bonifica destinati a fallire. Gli italiani

di Friar's Point, nel 1885, rappresentarono invece il primo passo per la sistemazione

definitiva di questo intrico di acqua, melma e piante tropicali. Seguirono altre colonie

nelle contee di Cahoama, Washington e Bolivar, ma fu Sunnyside a trattenere la

maggior parte degli agricoltori italiani.

La storia di Sunnyside nasce dalla mente organizzativa di Austin Corbin, proprietario

della Long Island Railway e filantropo "nordista". Egli si accordò con il principe

Emanuele Ruspoli per reclutare direttamente in Italia gli agricoltori della sua impresa.

E Ruspoli rispose positivamente inviando nelle terre del Sud, barbieri, sarti, calzolai

ed altri artigiani!

Confusi, disorientati, in balia di una lingua sconosciuta, gli italiani ricevettero i ferri

del mestiere: attrezzi agricoli, cavalli da tiro, torchi, carretti, macchine per imballare il

cotone. Non c'era scelta, bisognava trasformarsi in agricoltori e bisognava farlo

bene. I sovrintendenti di Corbin non conoscevano mezzi termini e per loro i "latinos"

erano uguali ai neri.

Il grande "benefattore" del resto aveva regalato ai suoi immigrati una chiesa, una

scuola, un ufficio telegrafico e case coloniche. Non si poteva protestare.

Gli italiani si rassegnarono al loro destino e si trasformarono in agricoltori. Lo fecero

talmente bene da rappresentare un esempio per le altre colonie della zona.

Sunnyside divenne un punto di paragone e gli italiani entrarono nel cuore dei

"proprietari" americani, con la loro straordinaria produttività.

"facevano crescere il cotone perfino sulle sponde dei fiumi, che non avevano mai

conosciuto l'aratro"... queste le parole di encomio per i nostri connazionali,

trasformati in novelli schiavi della terra. Nacque il mito dei Dago, quegli italiani

sempre pronti a lavorare, bevitori di un vino aspro e consumatori di ortaggi coltivati

davanti alle loro modeste case.

Per chi arrivava a Sunnyside il paesaggio americano cambiava totalmente. Fagioli

appesi a seccare, peperoncini e malva, pannocchie di granturco: le residenze degli

italiani erano letteralmente tappezzate dei prodotti della terra. Essi risparmiavano

sulla carne e mangiavano cicoria, scarola, radicchio. Vestivano decorosamente i

loro figli e provvedevano al decoro delle loro abitazioni. Ma tutto questo fu inutile

nella lotta contro la bonifica del grande delta. Sunnyside non venne mai totalmente

risistemata e rimase un focolaio di malaria pronto a mietere inesorabilmente le

proprie vittime. Anche Corbin morì dopo poco tempo e la colonia agricola, lasciata a

se stessa, entrò in decadenza. Il prezzo del cotone era sceso, la mortalità (tra donne

e bambini) era aumentata considerevolmente, i piani organizzativi languivano nei

cassetti dei nuovi proprietari.

In tanti lasciarono Sunnyside, qualcuno restò e molti morirono. Sunnyside finì nelle

mani dei profittatori e soltanto quaranta famiglie resistettero nell'inferno del profondo

Sud. Di esse pochissime sono arrivate fino ai nostri giorni per testimoniare di

un'epoca esaltante del lavoro italiani in America. I giornali di inizio secolo diedero

grande risalto alla tenacia degli italiani, esaltando le loro doti e innalzando Sunnyside

al rango di modello nazionale.

Se questo esperimento finì, altrettanto non successe per le altre colonie agricole

italiane nate negli stati del Sud. Nel Missouri sorse Knobview, ( gli italiani la

chiamarono Montebello ), e nello stesso Arkansas nacque Tontitown, in onore del

padre dell'Arkansas, quell'Enrico Tonti protagonista della frontiera americana. Fu

Padre Pietro Bandini, un giovane prete italiano, a dare la svolta nella storia degli

agricoltori italiani d'America. Ottenuta un'opzione su novecento acri di terra nella

contea di Ozark ( a confine con il Kansas e l'Oklahoma), Bandini vi condusse alcuni

reduci di Sunnyside. Il terreno, in gran parte pietroso e cespuglioso, si presentava

ben misero, ma aveva il pregio di essere attraversato dalla linea ferroviaria. E alla St.

Louis & San Francisco Railroad gli agricoltori si rivolsero per comprare il sito,

ottenendo il prezzo di un dollaro per acro.

Iniziò così l'epopea di Tontitown. Dall'Italia padre Pietro fece arrivare semi, piante,

fiori, attrezzi, larve di insetti per la lotta biologica; la regina Margherita di Savoia inviò

i suoi arredi per la chiesetta della comunità, dalle vicine foreste si ottennero tronchi

per costruire case. Gli agricoltori di Bandini lavorarono duramente e dopo alcuni anni

erano riusciti a piantare la vite, a far crescere i frutteti e ad allevare bestiame da

latte. Ma le avversità non lasciarono la comunità italiana. Al ciclone che distrusse il

primo raccolto di fragole e ortaggi, gli italiani di Tontitown risposero andando a

lavorare nelle miniere di zinco e carbone nel vicino Oklahoma. Alla gente di Ozark,

ostile in gran parte ai nuovi venuti, essi risposero con pugno di ferro, reagendo alle

azioni piromani con minacce di rappresaglia. Avevano dalla loro una guida

d'eccezione: Pietro Bandini infatti era stato ufficiale dell'esercito italiano e sapeva

anche maneggiare le armi da fuoco. Sotto la guida del loro condottiero religioso la

comunità prosperò e si allineò agli standard agricoli moderni. Gli italiani andarono a

scuola e studiarono tutti i metodi moderni di rotazione culturale, i procedimenti

scientifici per migliorare il rendimento della vite, degli alberi da frutta e dei cereali.

Nella contea di Ozark le cipolle, i piselli, le mele di Tontitown divennero famosi e la

colonia di affermò come vero e proprio modello. Nel 1912 nelle terre italiane

esistevano un caseificio, una fabbrica di scope, una fabbrica di laterizi, un laboratorio

di fabbro e uno di calzolaio e ancora altro poteva nascere in questa comunità se non

fosse sopraggiunta la morte di padre Bandini, nel 1917. L'ultima promessa, la padre

Pietro, l'aveva strappata al papa e alla regina madre: indirizzare l'emigrazione

italiana verso i terreni dell'Ovest e non più verso le grandi città della costa orientale.

Tontitown visse ancora per vari anni e si integrò alla perfezione nella regione. Anche

un'altra colonia italiana riuscì a salire agli onori della cronaca: si trattava di St.

Joseph, nella contea di Conway, a novanta chiometri da Little Rock. Qui arrivarono

150 migranti di Campobasso che avrebbero lasciato il segno con le loro "strambe"

abitudini matrimoniali. In ossequio ad un'usanza tipicamente sudista, gli italiani

adottarono l'abitudine di sposarsi giovanissimi. C'erano numerosi mariti

diciassettenni e mogli tredicenni, tanto da lasciare interdetto l'ambasciatore italiano

che si era recato a fare loro visita. Fu l'ultima delle esperienze comunitarie nel

profondo Sud. Nello stato più chiuso, più introverso e meno cosmopolita degli Stati

Uniti, gli italiani avevano portato un po' di pepe e variegato le usanze e i costumi

locali. Non arrivarono mai oltre le duemila unità, rappresentando comunque una

minoranza di peso nell'isolato stato del Sud, e lasciando un segno indelebile nella

coltivazione dei loro frutteti.

Generoso D'Agnese

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