La maledizione di Colavito
di Generoso D’Agnese
Era il 12 maggio 1961. Nello Yankee
Stadium si svolgeva la partita tra la squadra di casa (detentrice del
titolo dell’American Legue) e i Detroit Tigers, nella cui
formazione militava Rocky Colavito.
Quella partita sarebbe entrata nella
storia del Baseball non per le prodezze dei giocatori ma per quanto
sarebbe successo sugli spalti. E protagonista fu proprio Rocky
Colavito, nato nel Bronx e orgoglioso di avere negli spalti la
presenza della propria famiglia.
L’esterno sinistro, mentre stava
rientrando in panchine guardò verso gli spalti per incrociare gli
sguardi della moglie e dei genitori e notò il padre alle prese con
un altro spettatore. I due stavano litigando e il ragazzo nato nel
Bronx agì d’istinto lanciandosi verso le scalinate per raggiungere
il padre aggredito dal tifoso degli Yankee. Il gesto entrò negli
annali e costò la squalifica al giocatore dei Tigers, ma fli valse
l’ingresso nella storia del baseball americano.
“Non era la cosa più giusta che
salisse in tribuna – sentenziò il presidente dell’American
League Joe Cronin – ma credo fosse naturale per lui aiutare suo
padre”.
Rocco Domenico Colavito era nato il 10
agosto del 1933 ed era il più giovane dei cinque figli di Rocco e
Angelina Colavito. Il padre lavorava come autista su furgoni che
trasportavano ghiaccio e riuscì a garantire al figlio la frequenza
scolastica alla Theodore Roosevelt High School. Rocky però deluse
le aspettative paterne: fin da piccolo si era innamorato del baseball
e dei New York Yankees, sognando di diventare come Joe Di Maggio. Il
ragazzo del Bronx , dotato di ottime qualità atletiche, mollò la
scuola per andare a giocare nel campionato semiprofessionistico di
baseball. Fu un grave errore, ammesso anche dallo stesso Colavito che
non fu mai orgoglioso di tale scelta. Inoltre, all’epoca era
vietato stipulare un contratto professionistico con la Major League
se non si era diplomati e soltanto la bonomia del Commissioner Happy
Chandler gli permise di usufruire di un’eccezione. A 17 anni
Colavito entrò a far parte degli “Indians” e fu mandato a
giocare a Daytona Beach nella classe D della Florida State League.
Nel corso di pochi anni Colavito salì tutti i gradini dei campionati
fino ad arrivare a Reading, nella classe A dell’Eastern League.
Nella città della Pennsylvania il giocatore nato nel Bronx conobbe
la futura moglie Carmen Pernotti e insieme lavorarono per la società
sportiva degli Indians. Sposatosi nel 1954, Colavito nello stesso
anno coronò il sogno di giocare nel massimo campionato americano di
Baseball, militando nell’Indianapolis. In 13 anni di carriera nella
Major League, l’atleta del Bronx militò – oltre che negli
Indians – nei Tigers, nel Kansas City Royals, nei White Sox di
Chicago e nella sua squadra del cuore, i New York Yankees. Nominato
sei volte all’All
Star Game ,
nel 1959 è stato il Re dei fuoricampo. In 1841
incontri e
6503
turni in battuta,
Rocky ha battuto 374
fuoricampo e
1159
rbi’s
per una media battuta di .266,
on base percentage di .359
e on base più slugging di
.848.
I numeri migliori della carriera, l’atleta del Bronx li ha però
registrati negli anni giocati con gli Indians e i Tigers, motivo per
il quale la franchigia di Cleveland lo ha incluso nella Hall of Fame
oltre al fatto che è il
più amato di sempre dai tifosi di Cleveland.
Sul suo conto nacque anche una strana leggenda: la maledizione di
Colavito. Lo scrittore Terry Pluto, nel 1994 pubblicò in un suo
libro dal titolo omonimo la strana coincidenza delle mancate vittore
da parte degli Indians dal momento in cui , nel 1960, Colavito fu
venduto ai Tigers. La maledizione sportiva è durata 36 anni (dal
1959 al 1995) quando la squadra di Cleveland ha finalmente centrato
il massimo titolo statunitense nel baseball.
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