Nicola Di Rito, IL PARTIGIANO DEL DELAWARE
IL
PARTIGIANO DEL DELAWARE
Nicola
Di Rito aveva combattuto giovanissimo con la Brigata Maiella e
duranti gli anni '60 aveva sfidato il Ku Klux Klan
di
Generoso D’Agnese
L’ultimo
viaggio lo ha intrapreso lo scorso 7 maggio. Nicola Di Rito è deceduto a Wilmington
assistito dall’affetto dei suoi familiari e amici e tra i suoi ultimi pensieri
ci sarà stato sicuramente quello al suo paese natale, Lama dei Peligni,
lasciata nel 1956 per inseguire il sogno americano. In pochi però hanno
associato il suo nome a una delle pagine più importanti della Guerra di
Liberazione dal Nazifascismo: Nicola Di Rito era uno degli ultimi partigiani
viventi della Brigata Maiella che per prima affrontò unita le forze nemiche
dopo l’8 settembre 1943 e che entrò
insieme ai polacchi nella città di Bologna liberata il 21 aprile 1945.
Nicola Di Rito era nato a Lama dei
Peligni (CH), il 1 giugno del 1927, da Domenico e da Maria Concetta Caprara,
entrambi contadini. I suoi genitori si erano sposati il 5 novembre del 1908.
Prima di lui erano nati: la sorella Giovannina nel 1910 e il fratello Luigi nel
1915 (morto negli Stati Uniti nel 1976). A sedici anni si trovò coinvolto nella
guerra di liberazione e divenne un volontario della Brigatra Maiella, l'unica formazione partigiana ad essere
decorata di medaglia d'oro al valore militare
alla bandiera,
e tra le pochissime formazioni di patrioti di ispirazione repubblicana
aggregate alle forze alleate dopo la
liberazione dei territori d'origine. La Brigata Maiella fu la formazione
combattente con il più lungo e ampio ciclo operativo, continuando a lottare
risalendo la penisola sino alla liberazione delle Marche,
dell'Emilia-Romagna e del Veneto.
E Nicola Di Rito era tra le sue fila.
Per entrare nella Brigata, vista la
sua giovanissima età, dovette insistere
con i capi della "Brigata Maiella", ma una volta entrato per tutti
divenne “caporale”, cui venne affidato l’incarico di custodire i prigionieri di
guerra tedeschi.
Gli anni di guerra segnarono
profondamente Nicola e negli anni successivi non ha mai smesso di ricordare e
raccontare a chi domandava, sull’eroismo dei suoi capi, sugli eccidi e la
devastazione. Partecipò all’azione di distruzione di un ponte e a varie
operazioni per rubare armi. Partecipò anche agli scontri a fuoco con i nazisti
e dopo tanti anni dalla fine della guerra amava ricordare: "Le persone
guardano la guerra in televisione ma dimenticano cosa è stata davvero quella
drammatica esperienza per conquistare la Libertà"
Sposatosi con Anna nel 1956 subito
dopo il matrimonio si imbarcò sulla nave “Conte Grande”. La moglie lo raggiunse
due anni dopo e nel 1960 la coppia si trasferì a New Castle nel Delaware per
viverci quasi tutta la vita. Assunto come saldatore alla “Abex Amsco”, vi
lavorò per 31 anni ma la chiusura dell’azienda lo vide disoccupato all’età di
59 anni. Impossibilitato a trovare un altro lavoro, fino al raggiungimento
della pensione diede fondo, insieme alla moglie, ai propri risparmi per pagarsi
le assicurazioni familiari e la cassa malattia, toccando con mano la faccia
oscura del sogno americano. Una faccia oscura che però aveva già conosciuto
anni addietro quando, in una notte d’estate degli anni 60 si alzò in piena
notte, svegliato dal bagliore delle fiamme. In un terreno accanto a quello
della sua casa, vide ardere due enormi croci: segno inequivocabile della
presenza del Ku Klux Klan. Il terreno era state abitate da anni da una famiglia
di colore e dopo la “marchiatura” da parte dei pericolosi fanatici razzisti,
era pericoloso anche solo pensare di acquistarlo. Ma per un partigiano che era
sopravvissuto agli orrori della guerra e che aveva combattuto per la libertà
anche fianco a fianco con soldati di colore, non esisteva la paura. Di Rito
acquistò il terreno, a pochi soldi, e vi sistemò una statua di Sant’Antonio che
da allora, divenne il nume tutelare di quell’angolo d’America sfregiato
dall’odio. La statuina attirò tanti fedeli e permise un vero e proprio riscatto
all’insegna dell’amore.
Nicola
Di Rito, raggiunta la pensione con enormi sacrifici, non ha potuto più
riabbracciare la sua terra natale. Non ha lasciato eredi ma tante poesie
scritte sempre in memoria del suo paese, quella Lama dei Peligni che
contribuì a liberare dal giogo
nazifascista con il suo coraggio.
Commenti
Posta un commento