Ettore Gigante: Dalla Maiella al Sudafrica con l'entusiasmo dei 100 anni
I cent'anni di Ettore Gigante, dalla Maiella al Sudafrica
Testo e fotografie di Alessandro Parodi
Classe 1922, l’abruzzese Ettore Gigante ha compiuto cent’anni lo scorso 3 aprile. All'indomani di una grande festa al centro anziani Casa Serena di Johannesburg, in Sudafrica, il sagace centenario ci ha raccontato la sua vita a cavallo di due continenti e due secoli, e l'amore per la propria terra di San Valentino in Abruzzo, in provincia di Pescara. Testimone e protagonista, a modo proprio, delle vicende che hanno scritto la Storia del novecento, Ettore Gigante ricorda con affetto e nostalgia il villaggio dov’è cresciuto, si è sposato e ancora oggi ha una casa a cui è affezionatissimo. Quando parla della sua San Valentino si emoziona. “Un mio amico è stato in Italia qualche mese fa e mi ha mandato una foto del mio campanello di casa. Mi ha scritto ‘non mi apre nessuno’!” Nello stesso borgo, che conta meno di duemila abitanti, ha passato la propria infanzia, in una famiglia di dodici fratelli.
“Ai miei tempi”, ricorda Gigante, “imparare un mestiere faceva la differenza al paese”. L’apprendistato e poi la professione di barbiere hanno effettivamente tracciato i momenti più importanti della sua vita, prima facendolo sfuggire al fronte di guerra e poi permettendogli di fare fortuna nel lontano Sudafrica. Gigante dovette lasciare il paese natale da giovanissimo per arruolarsi nell’aviazione militare dell’esercito italiano ad Ascoli Piceno. In quei mesi, il centro Italia era schiacciato tra le forze alleate e quelle naziste attorno alla linea Gustav. “La guerra finì come finì e tutti sappiamo che l’Italia perse la guerra”, racconta. “Il generale responsabile di questi quattromila soldati ci portò in montagna a Rosara, ci riunì e ci disse ‘ragazzi, figli, come sapete l’Italia è in rotta, la guerra è finita e voi siete liberi di raggiungere le vostre famiglie, le vostre case e i vostri paesi come meglio potete. Da questo momento siete abbandonati”. “Da Ascoli Piceno a Pescara saranno un centinaio di chilometri, e questi naturalmente si fanno camminando, per le campagne”, continua. “Finalmente riuscii a rientrare in un paese dove passava il treno verso Roma. Lì era seduto un altro fuggitivo, della marina.
Non si sa come, quest’uomo aveva un tascapane pieno di roba e mi rifocillò. Ero in marcia da una settimana, e non mangiavo da due giorni”. Riuscendo a evitare le truppe alleate e quelle dei tedeschi, Gigante raggiunse San Valentino, che era scampata a battaglie e bombardamenti grazie alla posizione poco strategica del nord della Maiella. Ma dopo due giorni “arrivarono i camion delle SS, che circondarono il paese per rastrellare gli uomini e portarli su in montagna alla Maiella perchè dovevano fare delle fortificazioni per cercare di resistere all’avanzata degli Alleati”. Fu così che il mestiere del barbiere lo salvò dalle battaglie che seguirono al fronte: “Arrivato in paese andai da uno che aveva una bottega. Quando arrivarono i tedeschi, siccome avevano un ospedale a San Valentino per i feriti di guerra, mi portarono lì: avevano bisongo di qualcuno che servisse i soldati in ospedale, per tagliargli i capelli”. Nel dopoguerra, Gigante lavorò per due anni a Roma, per poi tornare al paese e mettersi in proprio.
Nel ‘53 accompagnò la sorella a ricongiungersi a suo marito e alla famiglia acquisita di ex prigionieri di guerra in Sudafrica. Decise così di restare a Johannesburg, una città in rapido sviluppo che rappresentava per molti italiani l’Eldorado del dopoguerra. Il viaggio in nave a bordo delle imbarcazioni “Africa” e “Europa” durava più di un mese. Aperta una nuova bottega a pochi passi dalla stazione centrale di Johannesburg, si fece raggiungere dalla moglie e due figli. In Sudafrica, la famiglia affrontò numerose sfide: non fu facile adeguarsi agli usi stranieri, imparare una nuova lingua e fronteggiare le discriminazioni che, durante l’apartheid, colpivano i migranti dell’Europa meridionale. Dopo la nascita di un terzo figlio, un tragico incidente aereo si portò via uno dei fratelli, appena ventunenne. Nel frattempo, la fine del novecento segnava uno dei capitoli più bui della Storia del Sudafrica. Il tracollo del regime dell’apartheid portò a una sanguinolenta transizione democratica e a una recessione economica che tuttora affligge il Paese. I figli e nipoti si trasferirono altrove nel Commonwealth: in altre parti del Sudafrica, in Australia o in Inghilterra. Ma il punto di ritrovo per la famiglia Gigante è sempre rimasto tra i monti della Maiella: “dopo un po’ di anni, quando avevamo un po’ di possibilità economiche, andavamo in Italia”, racconta. “Che devo fare, vivo di nostalgie”. Allo scoccare del nuovo millennio, Gigante andò in pensione.
Il deteriorarsi delle condizioni di vita in centro città e nel quartiere di Bellevue, dove viveva, costituivano una crescente preoccupazione per via di numerose rapine in bottega. Alla morte della moglie ritornò in Italia. Con il passare degli anni, però, vivere da solo divenne sempre più difficile. Fu così che decise di accettare l’invito di un amico che gestiva il centro anziani Casa Serena nella ‘Little Italy’ di Johannesburg. “Qua mi trovo protetto”, spiega. “Ho tanti amici che ho conosciuto al Club e alle bocce”. L’Italian Club Johannesburg, a pochi passi da Casa Serena, è un centro di aggregamento con un ristorante e numerose sezioni sportive. Allo scoccare dei cent’anni, Gigante è in forma perfetta e ricco di energie. “Una mia amica mi prende in giro, mi dice ‘questo qua non lo vuole nemmeno il diavolo’. Ma non sono tanto cattivo”. Per il suo compleanno si sono riuniti i familiari e tanti amici della comunità italiana in Sudafrica. “Io faccio la vita solitaria,” ci confessa. “Ma in questo periodo sono stato molto occupato. Mi hanno organizzato una grande festa al ristorante, poi un’altra a Casa Serena con l’Associazione Abruzzesi. Non ho mai parlato così tanto come adesso”. Gli chiediamo se, dopo i primi cent’anni, ci siano dei rimpianti o dei traguardi non raggiunti. “Ritorna la nostalgia”, risponde. “Mi piacerebbe fare un viaggio in Italia e tornare alla mia casetta dove sono nato”.
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